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domenica 2 agosto 2020

Lombardia ed i Camici del Cognato di Fontana

#LegaRubaTutto


Lo «squalo» sulla lettera: così la Lombardia si accorse che a fornire i camici era il cognato di Fontana
La Regione si sarebbe accorta che dietro l’offerta di fornitura per i camici c’era la Dama Spa di Andrea Dini osservando la carta su cui era stampata - che riportava lo squalo di Paul & Shark, marchio «in pancia» all’azienda del cognato di Fontana


Galeotto, o benedetto secondo i punti di vista, fu lo squalo. Non che sia esattamente la procedura di 
controllo raccomandata dai manuali aziendali per scongiurare conflitti di interessi, ma in maggio è pur sempre stato l’unico campanello d’allarme a funzionare, dentro la Regione Lombardia, 
per far accorgere (chi già avrebbe dovuto accorgersene) che era del cognato del presidente Attilio Fontana la società Dama spa, impegnatasi il 16 aprile a fornire 75.000 camici
 e 7.000 set sanitari al prezzo di costo di 513.000 euro.

Allo stato delle dichiarazioni ufficiali dei vari protagonisti — e benché l’assessore regionale Raffaele 
Cattaneo avesse subito accennato a Fontana che tra le aziende disponibili a riconvertire la produzione c’era pure quella di Andrea Dini, non ricevendo segnali né di approvazione né di disdetta —, un po’ tutti in Regione affermano di non aver mai ricollegato la fornitura al fratello della moglie di Fontana fin quasi al buffo «ohibò» del 10/12 maggio.

Una collaboratrice del direttore generale della centrale acquisti regionale Aria spa, Filippo Bongiovanni, il 10 maggio gli si sarebbe infatti presentata con in mano la lettera del contratto proposto da Dama spa, facendo notare come stampato nell’intestazione ci fosse anche il logo — lo squalo — di «Paul & Shark», il noto marchio di abbigliamento in pancia alla Dama spa di Dini.


Bongiovanni avrebbe a questo punto chiesto lumi all’avvocato Giulia Martinelli, già compagna di Matteo Salvini e più nota come capo dello staff di segreteria del presidente Fontana. E il 12 maggio Martinelli, dando un’occhiata sul web, avrebbe visto che non si trattava di una omonimia, facendo risalire l’informazione sino a Fontana.

Che poi il 17 maggio (con Report che già iniziava in giro a fare domande) avrebbe chiesto al cognato di soprassedere ai pagamenti per disinnescare «polemiche sterili».

E il 19, giorno prima che il cognato convertisse la fornitura in parziale donazione alla Regione, avrebbe tentato di «risarcirlo» (senza dirglielo) con un bonifico (bloccato dall’Unione fiduciaria e segnalato come «operazione sospetta» all’Uif di Bankitalia) di 250.000 euro presi dal proprio conto svizzero all’Ubs: quello sul quale il 24 settembre 2015 Fontana aveva regolarizzato, utilizzando la legge sulla voluntary disclosure, 5,3 milioni di euro sino allora illecitamente detenuti in Svizzera dalla scomparsa 92enne madre, prima su un conto del 1997 e poi con lo schermo di un «trust» costituito nel luglio 2005 alle Bahamas ma con gestore a Vaduz.


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