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martedì 21 gennaio 2020

A chi va la Pensione di Cittadinanza


A chi va la Pensione di Cittadinanza


La pensione di cittadinanza, ovvero l’aumento a 780 euro mensili degli assegni più bassi. Chi ha diritto all’aumento dell’assegno: potenzialmente i titolari di assegno sotto i 780 euro al mese sono oltre 4 milioni e mezzo. Tra questi, l’assegno sociale e dell’invalidità civile viene percepito da 1,4 milioni di persone, mentre sono 1,8 milioni le pensioni di vecchiaia e anzianità e 300mila quelle di invalidità e 800mila quelle ai superstiti. 
Alcune decine di migliaia di persone combinano più trattamenti.


Visto che le pensioni più basse vengono pagate nel Mezzogiorno, è probabile che i futuri aumenti si vadano a distribuire soprattutto al Sud. Tra gli interessanti, 3 milioni sono donne e 1,5 milioni sono uomini. Ma ci sono anche dei caveat:

Ai fini dell’aumento a 780 euro mensili annunciato dal governo vengono naturalmente considerate non le singole pensioni percepite, ma i redditi pensionistici degli interessati. Infatti è abbastanza frequente il caso di persone che hanno più di un trattamento. Questo spiega il fatto che le prestazioni previdenziali complessive (incluse quelle di tipo assistenziale) sono circa 23 milioni, mentre il numero totale dei beneficiari è molto più basso e appena superiore ai 16 milioni. Questo vuol dire che in generale (non solo per gli assegni bassi) ci sono 1,4 pensioni per ogni pensionato.

In più, c’è da considerare anche la situazione del coniuge:

Per molte prestazioni previdenziali e assistenziali viene attualmente effettuata la verifica del reddito, che in alcuni casi riguarda solo quello del titolare, in altri – come ad esempio per l’integrazione al minimo e l’assegno sociale, è estesa al reddito del coniuge. Anche per evitare un aggravio dei costi, è probabile che nel passaggio a 780 euro al mese vengano mantenuti questi criteri specifici per le varie categorie di pensione. Tra le prestazioni per cui al momento rileva solo il reddito del titolare c’è la “somma aggiuntiva” introdotta nel 2007, ovvero la cosiddetta “quattordicesima”.

Intanto Enrico Marro sul Corriere spiega che per contenere i costi i tecnici del governo stanno ragionando su una platea limitata. Per esempio, circoscrivendo l’intervento solo ai pensionati al minimo con più di 70 anni e già beneficiari, in quanto privi di altri redditi, della maggiorazione sociale (che fa salire l’assegno sui 630 euro), bisognerebbe aumentare la pensione di circa 150 euro al mese a 840mila anziani, per una spesa intorno a 1,6 miliardi l’anno.

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Pensione a Partire da 62 anni

Pensione a Partire da 62 anni


La legge Fornero va superata". Lo ha detto il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, 
intervistato dalla Stampa, in vista dell'incontro dei sindacati col governo, la prossima settimana, per 
parlare di pensioni. All'esecutivo, spiega Landini, chiederemo "una vera riforma delle pensioni, perchè è evidente a tutti che la legge Fornero ha aumentato
 le diseguaglianze e non ha risolto i problemi". ?

Landini è contrario all'ipotesi di anticipare il pensionamento 
con il "tutto contributivo": "No, non funziona. 

Sarebbe un sistema molto penalizzante e un sistema pubblico deve contenere elementi solidali, come fa la piattaforma Cgil-Cisl-Uil, che rivendica un'uscita flessibile a partire da 62 anni...".

"La riforma Fornero è stato un taglio drammatico per far quadrare i conti pubblici, non c'entrava con la previdenza. I soldi si possono andare a prendere altrove, e in tanti sistemi pensionistici europei anche la fiscalità generale contribuisce alla spesa previdenziale. Il 27 gennaio inizierà una trattativa su una riforma complessiva; ci sono tutte le condizioni per fare un buon lavoro".


Dopo anni di lotte, dice ancora Landini, "otteniamo un primo taglio delle imposte", ma per il futuro serve una vera riforma fiscale e una rivoluzione in campo pensionistico. Sulla riforma delle pensioni pubbliche, Landini spiega le proposte dei sindacati. 

"Primo - dice - acceleriamo la commissione sulla separazione tra spesa
 previdenziale assistenziale e quella sui lavori gravosi. 
Secondo, serve una pensione di garanzia per i giovani e per chi ha avuto lavori discontinui e precari. Terzo bisogna riconoscere il lavoro di cura delle donne, che non si può trasformare in una tassa. Quarto, serve un meccanismo di uscita flessibile. 
Quinto, rivalutazione delle pensioni e legge sulla non autosufficienza.
Proposte praticabili, e le risorse si possono trovare". 

Landini si rivolge poi al governo per dire che 
bisogna unire il paese, "che bisogna superare la precarietà, che ci vuole un progetto di sviluppo", che 
"serve un indirizzo pubblico, che il governo indichi i settori strategici, gli ambiti dove è utile anche un intervento diretto". "Il 2020 - spiega - potrebbe segnare un passaggio decisivo", a partire anche da una grande riforma fiscale. Dopo il taglio delle imposte, dice Landini, "portiamo a casa l'avvio di una vera riforma fiscale che riduca il prelievo anche ai pensionati, che rimoduli l'Iva, che combatta davvero l'evasione fiscale". La rivoluzione delle tasse. aggiunge Landini, "va estesa, deve coinvolgere anche i pensionati e gli incapienti, bisogna detassare gli aumenti contrattuali nazionali annuale bisogna rimodulare l'Iva". "Rimodularla - precisa - Non ha senso che tutti siamo tassati allo stesso modo: per alcuni si deve ridurre perchè sono beni di consumo di massa: su certi beni di lusso l'Iva può crescere. E ci vuole una vera lotta all'evasione fiscale".

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Reddito di Cittadinanza a 1Milione di Famiglie

Reddito di Cittadinanza a 1Milione di Famiglie


In media 493 euro a sussidio

I dati dell'osservatario dell'Inps fino all'inizio di gennaio: quasi il 10% sono relative alla pensione di 
cittadinanza. Accolte due domande su tre. Raggiunte 2,5 milioni di persone
Fino all'inizio di gennaio sono sono poco più di un milione le famiglie che hanno visto accolte le proprie domande per reddito o pensione di cittadinanza. Sono i numeri diffusi oggi dall'Inps nel consueto Osservatorio mensile, che evidenzia anche come, tra gli iniziali beneficiari, 56 mila nuclei abbiano perso l'accesso al sussidio. 

Nel dettaglio le famiglie titolari di reddito (916.000 per 2,4 milioni di persone coinvolte) e di pensione di cittadinanza (126.000 con 143.000 persone coinvolte) sono nel complesso 1.041.000 per oltre 2,5 milioni di persone coinvolte dal sussidio. L'importo medio mensile percepito da queste famiglie ammonta a 493 euro.

Dall'entrata in vigore del provvedimento circa due domande su tre di accesso a reddito o pensione di 
cittadinanza sono state accolte. Le domande arrivate all'Inps al 7 gennaio 2020 sono state 1,6 milioni, 
tra queste 1,1 milioni sono state accolte (il 67%), 88.000 (il 5%) sono ancora in lavorazione mentre 
457.000 (il 28%) sono state respinte o cancellate). L'80% delle domande è stata trasmessa dai Caf 
mentre il 20% è stata presentata attraverso le Poste (quest'ultimo canale è stato utilizzato soprattutto al Nord con il 31%). Guardando ai dati a livello territoriale invece dalle regioni del Sud e delle Isole è arrivato il 56% delle domande.


Il confronto con le previsioni
I dati diffusi oggi dall'Istituto di statistica consentono per la prima volta di confrontare i dati reali a 
consuntivo con le stime elaborate dal governo e 
dall'Inps al momento dell'adozione del provvedimento. 

Lo stesso istituto, un anno fa quando alla presidenza c'era ancora Tito Boeri, aveva stimato una platea di di 1,3 milioni di nuclei per 2,4 milioni di persone raggiunte. Numeri analoghi a quelli ipotizzati dal governo nella relazione tecnica del provvedimento, che aveva previsto che il sussidio raggiungesse 
1,24 milioni di famiglie. Numeri comunque lontanissimi da quelli diffusi dall'allora ministro dello Sviluppo Economico e del Lavoro Luigi di Maio, che presentando il provvedimento aveva parlato di una platea di "5 milioni" di beneficiari.

Intanto nella sua intervista a Repubblica, l'attuale presidente
 Inps Pasquale Tridico ha aperto a possibili interventi per correggere le caratteristiche del sussidio. "Una rimodulazione, al fine di consentire una più equa distribuzione all'interno del range 780-1.380 euro, con le risorse date, potrebbe essere fatta 
abbassando il sostegno monetario a 400 euro e alzando a 380 euro il sostegno all'affitto per le famiglie senza casa di proprietà", ha spiegato Tridico.
Catalfo: "Allo studio incentivi per occupazione al Sud e donne"
Intanto sul fronte del lavoro la ministra Nunzia Catalfo ha annunciato che sono allo studio nuovi incentivi per sostentere l'occupazione nel Mezzogiorno, con un'attenzione particolare alle donne. "Bisognerebbe cercare, ci sto lavorando con il ministro Provenzano, almeno per i territori dove c'è maggiore disoccupazione, il Sud d'Italia, a inserire degli esoneri contributivi un po' più importanti, non solo di 12 mesi, su determinate categorie, come le donne, 
per incentivare le assunzioni", ha detto la ministra. 

Sull'articolo 18 e il Jobs act - ha invece aggiunto - "non ci deve essere un dibattito politico" ma "occorre rispettare quanto detto dalla Consulta, quindi occorre andare a capire che intervento si può fare per dare maggiori tutele al lavoratore, questo sì".

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#RedditoDiCittadinanza
#Ideatore del #Provvedimento #Spiega come funzionerà il #Piano
per il #Contrasto alla #Povertà e l’attivazione nel #MercatoDelLavoro... 

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domenica 19 gennaio 2020

Reddito di Cittadinanza secondo il suo Ideatore


Reddito di Cittadinanza secondo il suo Ideatore


Pasquale Tridico
Professore di Economia del Lavoro, Università Roma Tre,
consigliere economico presso il ministero del Lavoro 
del governo Conte
(2018-2019)

L’ideatore del provvedimento spiega come funzionerà il piano per il contrasto alla povertà e l’attivazione nel mercato del lavoro. 

Quando finalmente finirà la polemica sterile contro il Reddito di Cittadinanza, quella che tira fuori solo problemi inerenti l’elusione, i furbi, gli scansafatiche, fino ad arrivare al “divano”, e alle “vacanze” dei poveri, e quando si comincerà a leggere e conoscere nella sua interezza il provvedimento che introduce il Reddito di cittadinanza, come misura di reddito minimo in Italia, di contrasto alla povertà e di riattivazione verso il mercato del lavoro, allora, penso, necessariamente si apprezzerà l’intero provvedimento, la finalità degli obiettivi,
 i mezzi attraverso i quali agisce e le risorse che mobilita.

L’esigenza di uno strumento di reddito minimo in Italia, come il Reddito di cittadinanza, trova una 
pluralità di giustificazioni teoriche, economiche, giuridiche e morali. Dall’inizio del secolo scorso 
economisti come James Meade, Oskar Lange, ma anche Karl Polanyi e più recentemente Amartya Sen, solo per citarne alcuni, sostengono la necessità economica e sociale di uno strumento di sostegno al reddito universale, nelle diverse varietà di sussidio sociale, di reddito garantito, di dividendo sociale, di reddito minimo o di reddito universale. Anche economisti considerati in qualche modo conservatori come von Hayek o Milton Friedman sostengono tale necessità.

Non è tutto: la costituzione Italiana, almeno in 2 articoli fondamentali, l’articolo 3 e l’articolo 38, ritiene necessario l’intervento dello Stato nel rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano la libertà e l’uguaglianza dei cittadini (art 3), e stabiliscono il diritto al mantenimento e all’assistenza sociale dei poveri, degli indigenti e dei disoccupati (art 38). E ancora, il più recente Pilastro Sociale dell’UE, all’art 14, stabilisce chiaramente il diritto al reddito minimo per garantire una vita dignitosa e allo stesso tempo ritiene utile combinare tale reddito minimo con incentivi alla integrazione nel mercato del lavoro. Due obiettivi ed uno strumento, appunto, come il Reddito di cittadinanza. Ci sono infine diversi leader religiosi nel mondo come Papa Francesco, che considerano tali strumenti, e il welfare in generale, un mezzo per lo sviluppo umano, e non un costo. 

Ma se tutto questo non convince ancora i più scettici, allora c’è l’evidenza empirica, che evidenzia come in periodi di crisi, come quella che ha colpito gran parte d’Europa dal 2009 in poi, strumenti come il reddito minimo non solo sono utili per evitare l’esplosione della povertà, come avvenuto in Italia, ma sono necessari per stabilizzare, o almeno compensare in modo quasi automatico, il ciclo negativo, sostenere i consumi, la domanda aggregata e quindi l’economia, 
evitando così una spirale recessiva o quantomeno attutendola.

Quando la critica al reddito di cittadinanza diventa meno aggressiva, si tirano fuori argomenti del tipo: “si poteva rinforzare il Rei”. Anche in questo caso la critica non trova fondamento, poiché non solo si è “rinforzato” il Rei in modo oggettivo ed evidente in termini di beneficiari, platee e risorse, passando da un contributo individuale massimo di 187 a 780 euro e da una platea potenziale di 1 milione ad una di quasi 5 milioni di persone, e da un fondo di poco più di 2 miliardi complessivi a poco più di 8 miliardi complessivi. Ma si è anche “rinforzato”
 il Rei nella parte che riguarda il “cuore” di quel provvedimento, 
ovvero il contrasto alla povertà, la rete dei servizi sociali attraverso i comuni e l’inclusione sociale. 

Infatti, per questo obiettivo le risorse aumentano notevolmente, di circa 130 milioni nel 2019 passando a circa 347 milioni, raggiungono 587 milioni nel 2020
 e triplicano nel 2021 passando a 615 milioni di euro. 

Una dotazione di risorse mai vista prima per l’obiettivo della lotta alla povertà. Una vera rivoluzione, e per conoscerne bene la portata basterebbe chiedere alla Caritas o alla Alleanza contro la Povertà che negli anni scorsi non hanno mai visto tante risorse. Tutto questo fa parte del cosiddetto Patto per 
l’inclusione sociale, per quelli più distanti dal mercato del lavoro, con particolari disagi sociali e non 
proprio pronti a lavorare. I beneficiari di Reddito di cittadinanza che stipulano il Patto di inclusione 
sociale presso i Comuni e i Servizi sociali avranno condizionalità e obblighi diversi, prevalentemente di tipo sociale, rispetto a coloro che stipulano il Patto per il Lavoro, 
come succede in tutti i paesi europei. 

Perché la povertà non dipende solo dalla mancanza di lavoro. Perché la povertà è un problema 
multidimensionale. E l’obiettivo è fare in modo che il Patto di inclusione sociale sia in qualche modo 
“propedeutico” rispetto al Patto per il Lavoro. Anche rispetto a questo obiettivo, di più diretto contrasto alla povertà, dovrà essere valutato il Reddito di cittadinanza.

Infine, oltre a “rinforzare” il Rei in lungo e in largo, si è aggiunto un altro fondamentale pilastro, che 
potremmo definire “lavorista”, di riattivazione verso il mercato del lavoro, seguendo alla lettera l’art. 14 del Pilastro Sociale dell’Ue citato sopra, e costruendo un reddito minimo che possa garantire una vita dignitosa combinato con incentivi alla integrazione nel mercato del lavoro. Anche in questo caso, la critica al pilastro “lavorista” è priva di fondamento. I centri per l’impiego (Cpi) non sono pronti, si dice, le politiche attive sono inesistenti o quasi, e via discorrendo. Vero. Ma proprio per questo è giusto partire al più presto possibile, e questa è una occasione d’oro. Del resto la finalità di contrasto alla povertà e sostegno al reddito rimane soddisfatta anche durante la costruzione e il potenziamento dei Cpi, da cui quella finalità è indipendente, e con cui la riforma dei Cpi non è in conflitto. Come per il contrasto alla povertà e la rete ad essa connessa, anche i Cpi, le regioni e tutti i servizi ad essi collegati, non hanno mai visto tante risorse: 120 milioni nel 2019 e 160 milioni dal 2020 per 4000 nuove assunzioni presso i Cpi. 200 milioni per l’assunzione di 6000 navigator nel 2019, 250 milioni per il 2020 e 50 milioni per il 2021, attraverso Anpal servizi Spa. Quindi una dotazione di 10 mila nuovi operatori per i servizi dell’impiego pubblici che si aggiungono ai circa 8000 esistenti. A ciò si aggiunge una ulteriore dotazione di 480 milioni nel 2019 e di 420 milioni nel 2020 per strutture e infrastrutture fisiche e tecnologiche presso i Cpi e le regioni che in questo hanno competenza. Sono inoltre compresi fondi per la stabilizzazione degli attuali precari dell’Anpal, per nuove assunzioni in Inps, per i Caf, e per i sistemi informativi unitari, ovvero le piattaforme tecnologiche su cui poggia l’intero programma. Inoltre, la differenza tra il Fondo per il Reddito di cittadinanza, cioè 8,32 miliardi a regime dal 2021, e l’erogazione del beneficio, pari a regime a 7,21 miliardi, è di oltre 1 miliardo di risorse per il mantenimento di tutta la struttura dei CPI, di Anpal, e di tutti i soggetti convolti (Inps, Caf, Comuni, Enti di formazione, Enti 
accreditati, sistemi informativi, piattaforme, ecc).

Il programma del Reddito di cittadinanza ha una architettura complessa, studiata sulla scia dei migliori esempi europei di reddito minimo, e prevede formazione e condizionalità, oltre che un vasto programma di incentivi alle imprese e agli enti di formazione accreditati. Questa parte del programma del Reddito di cittadinanza identifica un approccio molto orientato verso le politiche attive e il reinserimento nel mercato del lavoro dei beneficiari. All’interno del Patto per il Lavoro che il beneficiario di Reddito di cittadinanza stipula presso i Cpi o gli enti accreditati quali le Agenzie del Lavoro (ApL) si identifica un percorso di riattivazione del beneficiario e può includere anche un Patto per la Formazione con il quale l’impresa si impegna a fornire formazione al beneficiario. Il programma prevede incentivi per le imprese che assumono il beneficiario a tempo pieno e indeterminato, e non lo licenziano senza giusta causa o giustificato motivo, pena la restituzione dell’incentivo. Le imprese che assumono un beneficiario nei primi 18 mesi di fruizione del beneficio ottengono un incentivo sotto forma di esonero contributivo, nel limite dell’importo mensile percepito dal beneficiario, ed entro un massimo di 780 euro, e per un valore totale massimo pari alla differenza tra 18 mesi e i mesi usufruiti. Il contributo non può comunque essere 
inferiore a 5 mensilità. In caso di rinnovo del Reddito di cittadinanza, l’incentivo per le imprese è 
concesso nella misura fissa di 5 mensilità.

Gli enti di formazione accreditati possono stipulare presso i Cpi e presso le ApL un Patto di formazione, finalizzato allo svolgimento di un percorso professionale, alla fine del quale se il beneficiario ottiene un lavoro coerente con il profilo formativo sarà riconosciuto all’ente di formazione un esonero contributivo, nel limite della metà dell’importo mensile del Reddito di cittadinanza percepito dal lavoratore all’atto dell’assunzione, entro un massimo di 390 euro e per un valore totale pari alla differenza tra 18 mesi e i mesi già usufruiti. L’altra metà, nel limite di 390 euro, va all’impresa che assume il lavoratore. Il contributo non può comunque essere inferiore a 6 mensilità (3 per l’ente di formazione e 3 per l’impresa). Qui c’è chiaramente un incentivo di mercato agli enti di formazione che saranno spinti ad organizzare e ad inserire singoli o gruppi di beneficiari di reddito di cittadinanza all’interno di corsi di formazione attraenti, che diano reali sbocchi di lavoro, perché solo a conclusione di essi, ed in caso di successo cioè assunzione da parte dell’impresa, l’ente di formazione riceverà l’incentivo. Saranno quindi spinti ad organizzare corsi di formazione per posizioni per cui esistono vacancy, perché i loro incentivi dipendono dall’assunzione, piuttosto che da opachi finanziamenti regionali a pioggia. Inoltre questi incentivi spingono imprese e enti di formazione a stipulare il Patto di formazione e ad assumere 
al più presto un beneficiario, per ottenere un beneficio più cospicuo.

Chiaramente questi incentivi non sono addizionali rispetto alle risorse stanziate per il fondo del Reddito di cittadinanza, ma anzi sono costruiti attraverso un meccanismo che prevede il trasferimento all’impresa solo in caso in cui il beneficiario sia assunto stabilmente e quindi non abbia più bisogno di Reddito di cittadinanza. Nel programma sono previsti anche incentivi per l’imprenditorialità e il self-employment: nel caso in cui il beneficiario avvia un’attività di lavoro autonomo o costituisce un’impresa individuale o una società cooperativa entro i primi dodici mesi di fruizione della misura è previsto il riconoscimento di un incentivo pari a 6 mensilità del Reddito di cittadinanza, nel limite di 780 euro mensili. La combinazione tra l’impossibilità di rifiutare più di 3 offerte di lavoro congrue, a scalare su 100 km, 250 km e tutto il territorio nazionale, insieme ai forti incentivi all’inserimento lavorativo, permette di affermare, ragionevolmente, che sebbene il Reddito di cittadinanza sia un reddito minimo strutturale, per sempre, per un singolo beneficiario potrebbe durare massimo due cicli. All’interno di questo contesto è allora ragionevole suppore, che sia possibile, la riattivazione di circa un milione di nuovi lavoratori in 2-3 anni, in condizioni economiche generali normali, 
cioè non di stagnazione o recessione.

Veniamo inoltre al cosiddetto doppio bonus per le imprese. Nel caso in cui il datore di lavoro abbia 
esaurito gli esoneri contributivi in forza degli sgravi previsti nella scorsa legge di bilancio per le imprese nel Sud che assumono nel 2019 e 2020 giovani sotto i 35 anni o disoccupati da oltre 6 mesi over 35 anni, gli incentivi contributivi previsti nel Reddito di cittadinanza si trasformano in credito di imposta. In questo caso, sebbene l’impresa abbia ampia libertà e flessibilità di poter usare il credito d’imposta come crede, sarebbe molto coerente con l’impianto del programma, e più efficace per l’impresa stessa, usare il credito di imposta per la formazione 
dei neoassunti attraverso il reddito di cittadinanza.

Conclude questa batteria di incentivi all’inserimento nel mercato del lavoro un altro strumento: l’assegno di ricollocazione (AdR). Esso ha la finalità di aiutare la persona disoccupata beneficiaria del reddito di cittadinanza a migliorare le possibilità di ricollocarsi nel mondo del lavoro. Si tratta di una somma di denaro che può variare tra 250 e 5.000 euro, a secondo della difficolta del soggetto beneficiario, e può essere considerata una “dote” per il lavoratore. Può essere spesa presso enti accreditati e centri per l’impiego, e permette di ricevere un servizio di assistenza intensiva alla ricerca di occupazione da parte di un centro per l’impiego o di un ente accreditato ai servizi per il lavoro. La dote è effettivamente incassata da ApL o Cpi solo nel momento
 in cui il lavoratore viene allocato sul mercato.

La logica di fondo alla base di questa batteria di incentivi, è la riattivazione nel mercato del lavoro di un gran numero di inattivi. Inoltre, rafforzare lo Stato sociale, attraverso uno strumento cardine di welfare quale il reddito minimo, pone un freno ad una tendenza di riduzione dello stato sociale e di salario indiretto che negli ultimi tre decenni ha costituito, insieme alla flessibilizzazione del mercato del lavoro, una costante della politica economica italiana, che ha favorito il declino della quota salario sul Pil, e la perdita di potere contrattuale da parte dei lavoratori, con inevitabile stagnazione dei salari. In questo senso, il Reddito di cittadinanza, la più grande politica sociale degli ultimi 30 anni almeno, può rappresentare anche la spinta iniziale di una pressione verso l’alto dei salari, e il riposizionamento, per l’Italia, su una frontiera produttività più elevata, caratterizzata da investimenti ad alta intensità di capitale, piuttosto che 
investimenti che sfruttano maggiormente il lavoro a basso costo.

Più in generale, possiamo dire che l’impatto macroeconomico del Reddito di cittadinanza può essere di notevole importanza, sia sull’efficienza del mercato del lavoro, in termini di aumento di occupazione e produttività, da realizzarsi con il miglioramento dei Cpi, la riqualificazione formativa dei lavoratori, e la batteria di incentivi inseriti, sia su alcuni aspetti macroeconomici che riguardano il moltiplicatore dei consumi, l’output gap e il recupero di spazio fiscale nel bilancio. Da una parte l’attuazione del Reddito di cittadinanza associata al potenziamento dei Cpi costituisce una vera e propria riforma strutturale del mercato del lavoro, nella misura in cui può aiutare a reimpiegare parte di quegli oltre tre milioni di scoraggiati (secondo i dati dell’ISTAT 2018) che da anni non cercano più attivamente lavoro, tra cui moltissimi giovani NEET. L’afflusso degli scoraggiati presso i Cpi permetterebbe di rivedere al rialzo il tasso di partecipazione alla forza lavoro, che nella metodologia europea contribuisce alla crescita del Pil potenziale. Si aprirebbe così uno spazio fiscale aggiuntivo che può essere utilizzato per aumentare l’occupazione evitando di far crescere in percentuale il deficit strutturale a livelli passibili di sanzioni comunitari. Dall’altra parte, le finalità sociali, di contrasto alla povertà e di sostegno al reddito sono necessari, in una economia avanzata come la nostra, per garantire la stabilità sociale e una maggiore coesione, soprattutto in periodi di dinamica lenta del Pil come quella che sembra profilarsi per via di una congiuntura internazionale sfavorevole. In questi periodi, azionare la leva anticiclica della politica economica, addirittura in anticipo, potrebbe rivelarsi fondamentale per garantire la stabilità dei consumi e della domanda aggregata, con la soddisfazione che per una volta almeno si potrà dire che si è iniziato dagli ultimi.

In media 493 euro a sussidio. I dati dell'osservatario dell'Inps fino all'inizio di gennaio...
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