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venerdì 17 agosto 2018

Scuola e il Decreto Dignità

Il rebus dei maestri diplomati. Contratto solo a uno su cinque, agli altri solo supplenze brevi


Maestri diplomati, posto a uno su cinque
Il rebus dei maestri diplomati. Contratto solo a uno su cinque, agli altri solo supplenze brevi

La bacchetta magica, per carità, non ce l’ha nessuno. Ma il mega-salvataggio giallo-verde promesso prima del voto a tutti i maestri diplomati tanti anni fa e poi esclusi per l’obbligo della laurea non ci sarà. Tra quanti sognavano il posto fisso meno di uno su 5, a settembre, avrà un contratto. Non annuale: 10 mesi. E gli altri? «Al massimo occasionali supplenze brevi». In attesa d’un concorso che, viva la meritocrazia, non prevede un punteggio minimo. Tutti promossi. Per entrare in ruolo, però, potrebbero servire 29 anni…

La denuncia parte da Tuttoscuola che è andata a esaminare la «parte scolastica» del Decreto Dignità e i numeri reali che ne escono. Secondo la rivista diretta da Giovanni Vinciguerra il pasticcio sarebbe stato fatto con le modifiche introdotte dal Parlamento che «hanno radicalmente cambiato il testo iniziale che», in attesa di trovare una soluzione, «si limitava a sospendere per quattro mesi l’applicazione della sentenza del Consiglio di Stato».

Quella sentenza in seduta plenaria che alla vigilia di Natale dell’anno scorso, dopo vari verdetti contrastanti, aveva stabilito che no, l’ammissione provvisoria alle Gae (le graduatorie ad esaurimento per le assunzioni) dei diplomati magistrali abilitati a insegnare prima che diventasse obbligatoria la laurea, andava bocciata. Con la conseguente esclusione di tanti precari (ormai quasi esclusivamente donne) che avevano insegnato per anni. Ma anche di molte aspiranti maestre che, preso il diploma, avevano fatto altri mestieri senza insegnare un solo giorno. Come una casalinga palermitana scovata mesi fa dalla nostra Valentina Santarpia: aveva 57 anni, si era diplomata nel lontano 1978, non aveva fatto neppure una supplenza ma, vista l’occasione, si era fatta avanti col solito ricorso per avere lei pure una cattedra. Esperienza? «Ho cresciuto quattro figli».

Intendiamoci: cinquantamila diplomati abilitati e tenuti in sospeso per anni tra sentenze ballerine sono un problema sociale serio. Parliamo di quattro volte i dipendenti dell’Ilva di Taranto. Certo è che in campagna elettorale, a costo di scontentare i giovani laureati vincitori di concorso, i due viceconsoli del governo pentaleghista si erano sbilanciati assai. «Non permetteremo che la vita lavorativa di oltre 50 mila insegnanti precari venga spezzata da una sentenza ingiusta», aveva detto Matteo Salvini, «Da papà, prima che da politico, io sto con le maestre azzerate da Renzi e dal Pd. Alla faccia della “buona scuola”». «Chi ha dedicato decenni della propria vita alla scuola non può essere sbattuto fuori con un “grazie e arrivederci”», aveva rincarato Luigi di Maio, «La politica deve farsi carico di questa questione».

Ma il rattoppo, a leggere il dossier Tuttoscuola, sembra peggiore del buco. Fatti i conti, dei 6.669 contratti a tempo indeterminato firmati nel 2017-18 grazie all’ammissione provvisoria alle graduatorie, non se ne salverebbe uno e delle circa 2600 supplenze annuali neppure. Al loro posto solo 9300 supplenze fino al 30 giugno 2019. E gli altri 41.000 precari illusi da tante promesse che rappresentano l’81% del totale? Come già detto: «nulla, solo supplenze brevi».

Se fin qui siamo nel campo della presa d’atto di una realtà più complicata dei sogni (auguri!), il «concorso straordinario» riservato ai maestri abilitati con la laurea «in scienze della formazione primaria» necessaria dal 2002 e ai diplomati magistrali senza quella laurea ma «abilitati entro l’anno scolastico 2001/2002», va però a tradire un principio fondamentale sbandierato dai due partiti di governo. Quello del merito. Della necessità assoluta, per il nostro Paese, di garantire sì a tutti il diritto a una vita dignitosa ma anche di dare spazio, finalmente, ai più bravi. Ripristinando davvero l’ascensore sociale.

Certo, un punto nuovo c’è: possono partecipare alla selezione, sia tra i laureati sia tra i vecchi diplomati, solo coloro che «abbiano svolto, nel corso degli ultimi otto anni scolastici, almeno due annualità di servizio specifico, anche non continuative, su posto comune o di sostegno, presso le istituzioni scolastiche statali». Per capirci: quanti hanno preso il diploma quarant’anni fa e non hanno fatto un’ora di lezione, son tagliati fuori. Un dramma, per molti. Ma un sollievo per quei genitori che temevano che i loro figli, di sanatoria giudiziaria in sanatoria giudiziaria, si ritrovassero negli anni chiave dell’infanzia e delle elementari, 
(maestri) che di tutto avevano fatto prima tranne che i maestri.

Quello che non torna è l’impianto del «concorso straordinario». Più volte, infatti, nel contratto di governo firmato dal capo politico del Movimento 5 Stelle e dal segretario della Lega, viene ribadito il bisogno di «meritocrazia». Ad esempio a proposito dell’università, dove l’assunzione sbagliata di un luminare può pesare meno di quella sbagliata di una maestra: «Occorre riformare il sistema di reclutamento per renderlo meritocratico, trasparente e corrispondente alle reali esigenze scientifico-didattiche degli atenei, garantendo il regolare turn-over dei docenti». Giustissimo. Sacrosanto.

Il concorso straordinario per maestri, al contrario, accusa il giornale di Vinciguerra, «non prevede la prova scritta, ma solo una prova orale didattico-metodologica. Da anni nei concorsi per docenti si accertano anche competenze linguistiche e informatiche. In questo no. È un ritorno all’antico che rifugge dai nuovi profili professionali e dalle esigenze di una scuola moderna».

Peggio: il peso di questa unica prova orale «è meno della metà di quello assegnato ai titoli: 30 a 70 con l’esplicita intenzione di contenere la valutazione della prova. Il candidato potrebbe anche fare scena muta o affermare che Maria Montessori è stata ministro dell’istruzione: non verrebbe bocciato e risulterebbe vincitore ugualmente». E non basta ancora: «I titoli culturali, la laurea, la specializzazione professionale, i corsi d’aggiornamento valgono meno della metà dei titoli di servizio: massimo 20 punti contro 50». A farla corta: «Questi criteri favoriscono coloro che, con un’età più avanzata, sono da molti anni nella scuola, mentre penalizzano i giovani laureati che non possono aver prestato numerosi anni di servizio». Il tutto in un sistema scolastico che, come è noto, vede l’età media dei docenti a 53 anni e 3 mesi nella scuola primaria 
e addirittura 54 in quella dell’infanzia.

Potrebbero essere da 86 a 92 mila i candidati a questo concorso. Per il 67% nati al Sud, dove però ci sono solo il 36% delle cattedre disponibili: piaccia o no a Salvini, nuovo tsunami in arrivo. Ma per quanti posti veri, reali, concreti? «Negli ultimi anni nella scuola dell’infanzia si sono resi disponibili mediamente ogni anno 3.600 posti comuni e 1.160 di sostegno; si può stimare che nei prossimi anni sia ancora questo il trend ». Di conseguenza, visto che «le norme attuali per le immissioni in ruolo prevedono il 50% a favore degli iscritti GAE e per il restante 50% degli iscritti nelle graduatorie di merito, i candidati del “concorso straordinario” per l’infanzia avranno a disposizione 1800 posti comuni e 580 di sostegno per complessivi 2.380 posti». Se partecipassero «70 mila candidati, occorreranno quindi 29 anni per esaurirle». Quanto alla primaria, i posti a disposizione saranno 6.250. Avanti così, di anni per smaltire tutti ne basteranno undici. Peccato che, una volta arrivati alla meta, molti avranno già l’età della pensione…


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mercoledì 8 agosto 2018

Strage di braccianti e la marcia dei berretti rossi

Per la prima volta, non raccogliendo i pomodori, sfidiamo lo strapotere della Grande Distribuzione organizzata, i caporali, i padroni e chi ha vissuto nelle stanze ghiacciate dei convegni. Chi fa sindacato costruisce lotte sociali, non sta nelle sale dei convegni. Si impegna a organizzare uomini e donne che per la prima volta si sono sottratti a loro sfruttamento.


E' partito dal ghetto di San Severo, ed è arrivato a Foggia il corteo di protesta dei berretti rossi organizzato dopo la morte di sedici lavoratori migranti avvenuta in due diversi e tragici incidenti stradali in pochi giorni sulle strade della provincia Dauna. La manifestazione e lo sciopero dei braccianti sono stati indetti dall'Unione sindacale di base (Usb). Prima del comizio è stato osservato un minuto di silenzio per i lavoratori deceduti e per tutte le persone che muoiono sul lavoro in qualsiasi settore e di qualsiasi nazionalità.

"Schiavi mai", "Niente pomodori senza lavoratori": questi alcuni degli slogan gridati dai partecipanti , in gran parte migranti africani che si trovano in Puglia per le raccolte stagionali nei campi, in particolare quella del pomodoro. "Basta stragi e sfruttamento. Lavorare in sicurezza", si legge ancora su uno striscione in testa al corteo.

Per la prima volta, non raccogliendo i pomodori, sfidiamo lo strapotere della Grande Distribuzione organizzata, i caporali, i padroni e chi ha vissuto nelle stanze ghiacciate dei convegni. Chi fa sindacato costruisce lotte sociali, non sta nelle sale dei convegni. Si impegna a organizzare uomini e donne che per la prima volta si sono sottratti a loro sfruttamento.


I due episodi tragici sarebbero legati, anche stando a una ipotesi investigativa, al fenomeno del caporalato. Dal palco a Foggia il rappresentate di Usb, Aboubakar Soumahoro, ha ricordato i morti italiani sul lavoro di 62 anni fa in una miniera in Belgio a Marcinelle e ha ringraziato per l'appoggio i vescovi di Foggia e San Severo e il presidente della Emiliano. "Noi non siamo migranti, non siamo extracomunitari - ha detto Aboubakar Soumahoro rivolgendosi ai due vicepresidenti del consiglio e ministri Matteo Salvini e Luigi Di Maio e al premier Giuseppe Conte - siamo persone come voi ".

Inoltre ha ricordato "lo strapotere dei caporali e della Grande Distribuzione Organizzata. Agli organi giudiziari diciamo: fate indagini, andate a interrogare i padroni, quanto ci pagano. Un euro all'ora". E agli altri sindacati e agli stessi rappresentanti istituzionali si è rivolto in questi termini: "basta convegni in sale ghiacciate, tornate nei campi. Noi siamo lì a organizzare i lavoratori. Questa giornata non è una passerella - ha precisato Soumahoro - è una giornata di sciopero. Per la prima volta, non raccogliendo i pomodori, sfidiamo lo strapotere della Grande Distribuzione organizzata, i caporali, i padroni e chi ha vissuto nelle stanze ghiacciate dei convegni. Chi fa sindacato costruisce lotte sociali, non sta nelle sale dei convegni. Si impegna a organizzare uomini e donne che per la prima volta si sono sottratti a loro sfruttamento".

"Ai padroni diciamo: non siamo schiavi, siamo esseri umani - ha sottolineato il sindacalista Usb - lottiamo ogni giorno contro qualsiasi forma di sfruttamento. I mafiosi non siamo noi. I ministri abbiano la forza di andare a 'interrogare' chi decide i prezzi, cioè la Grande distribuzione organizzata". Oggi i braccianti impegnati nella raccolta di pomodoro si sono astenuti dal lavoro. Nessuno, riferisce Usb in una nota, è al lavoro nei campi intorno al ghetto 
di Rignano, nel comune di San Severo.

Centinaia di lavoratori hanno sfilato con gli stessi cappellini indossati dalle vittime, berretti distribuiti settimane fa da Usb e Rete Iside per aiutare i braccianti a proteggersi dal solleone delle campagne e idealmente dallo sfruttamento e dalla mancanza di diritti, in un processo di sindacalizzazione che avanza a grandi passi. Ai lavoratori in marcia si è unito anche il governatore 
della Puglia Michele Emiliano.

Intanto a Roma, durante la conferenza stampa con i giornalisti prima della pausa estiva, il premier Conte è tornato sulla legge sul caporalato. "C'è ma non viene completamente applicata" ha detto il premier. Quindi "dovremo intervenire per rafforzare il quadro delle tutele 
che sono già previste in quella legge".


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martedì 7 agosto 2018

Assegno di Incollocabilità 2018: Importo Aumentato

Aumenta l’importo dell’assegno di incollocabilità a decorrere dal 1° luglio 2018. Infatti, il Decreto 6 luglio 2018 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha stabilito che dalla predetta data l’assegno in trattazione è stato rivalutato nella misura di 259,21 euro.

Aumenta dal 1° luglio l'importo dell’assegno di incollocabilità.
 L’assegno in trattazione è stato rivalutato nella misura di 259,21 euro.

Aumenta l’importo dell’assegno di incollocabilità a decorrere dal 1° luglio 2018. Infatti, il Decreto 6 luglio 2018 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha stabilito che dalla predetta data l’assegno in trattazione è stato rivalutato nella misura di 259,21 euro.

Si ricorda che annualmente l’INAIL rivaluta l’importo di tale assegno: rispetto allo scorso anno si è verificato un incremento di 2,82 euro (il 2017 l’importo era di 256,39 euro).  La rivalutazione è stata adottata sulla base della Determinazione INAIL n. 255 del 29 maggio 2018.

Ma andiamo a vedere nel dettaglio cos’è l’assegno di incollocabilità, a chi spetta e soprattutto come fare per riceverla. Ecco alcune linee guida per orientarsi al meglio.

Assegno di incollocabilità, cos’è
L’assegno di incollocabilità è una prestazione di tipo economica riconosciuta a tutti quei soggetti invalidi che hanno subito un infortunio o una malattia professionale. Pertanto, si trovano nell’impossibilità di fruire della Legge sull’assunzione obbligatoria (L. n. 68/1999).

Soggetti interessati
Esso è rivolto esclusivamente ai soggetti disabili che non abbiano superato il 65esimo anno di età. Inoltre, è necessario che il disabile manifesti:

un’inabilità non inferiore al 34%, la quale deve essere riconosciuta direttamente dall’INAIL;
un grado di menomazione dell’integrità psicofisica-danno biologico superiore al 20%.
Rivalutazione dell’assegno per il 2018
Come detto pocanzi, l’assegno di incollocabilità si rivaluta annualmente a decorrere dal 1° luglio, sulla base della variazione effettiva dei prezzi al consumo ISTAT. Per quest’anno, si registra una variazione positiva che porta l’assegno a 259,21 euro.

Si ricorda che, oltre alla rivalutazione della retribuzione di riferimenti riferimento per la liquidazione delle rendite, l’assegno in commento gode di un’ulteriore sistema di rivalutazione che si applica laddove nell’anno si verifichi una variazione retributiva minima non inferiore al 10% rispetto all’ultima rivalutazione.

Come presentare domanda
Per ricevere l’assegno è necessario presentar domanda alla Sede INAIL territorialmente competente, indicando:

i dati anagrafici;
la descrizione dell’invalidità (lavorativa ed extralavorativa, se esistente);
e la fotocopia del documento di identità.
La richiesta può essere fatta anche: via posta ordinaria oppure via Pec. È anche possibile che il lavoratore si faccia assistere da un patronato.

A questo punto, l’INAIL ne verifica la veridicità convocando il richiedente a visita medica:

in caso di esito positivo, sarà comunicata l’accettazione della richiesta;
in caso di esito negativo, l’INAIL ne comunicherà la motivazione via posta.
Pagamenti
Una volta accertato lo stato d’inabilità, l’assegno di incollocabilità verrà liquidato mediante una delle seguenti forme di pagamento:

accredito su conto corrente bancario o postale;
accredito su libretto di deposito nominativo, bancario o postale (escluso per il settore navigazione);
carta prepagata dotata di codice Iban;
tramite gli Istituti di credito convenzionati con l’Inps, per i titolari di rendita che riscuotono all’estero (escluso per il settore navigazione);
assegno (escluso per il settore navigazione) o in contanti allo sportello postale o bancario (solo per importi inferiori a 1.000,00 euro).



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domenica 5 agosto 2018

Bocciato il Bonus Assunzioni per il Mezzogiorno

le promesse fatte in campagna elettorale sulla rivalsa del Mezzogiorno sembrano essere state accantonate


L’attuale Governo, che unisce Lega e M5S, è nato per venire incontro al consenso popolare espresso nelle ultime elezioni. In particolare, il Sud Italia si era apertamente espresso in favore dei pentastellati che proprio nel meridione hanno ottenuto i consensi necessari a diventare il primo schieramento post elezioni. Eppure, le promesse fatte in campagna elettorale sulla rivalsa del Mezzogiorno sembrano essere state accantonate.

L’interrogazione parlamentare dell’On. Roberto Occhiuto, ha fatto emergere un caso allarmante. Si parla del decreto-legge che, all’art. 3, conteneva agevolazioni per favorire le assunzioni nel Mezzogiorno. L’emendamento era stato proposto da diversi onorevoli. Un intervento che, valido nel 2018, avrebbe fatto sperare in un aiuto concreto contro la disoccupazione, che nella nostra terra sta raggiungendo livelli critici. Una buona idea che, però,
 è stata bocciata senza alcuna apparente giustificazione.

L’On. Occhiuto, nella sua interrogazione, ha appunto chiesto il motivo per cui una proposta così vantaggiosa e, soprattutto, quasi a costo zero per lo Stato sia stata cancellata nel silenzio generale, quando altri punti del decreto sono stati mantenuti intatti. In una situazione critica come quella attuale, dove l’ultimo Rapporto Svimez mostra un Sud sempre più vicino al baratro, sembra assurdo bocciare senza spiegazioni atti concreti che potrebbero alleviare la crisi.

Qualcuno potrebbe pensare, arrivati a questo punto, che slogan come “Prima il Nord” siano stati solo accantonati per raccogliere voti, ma, nei fatti, restino una linea guida per chi invece dovrebbe guidare un intero paese.

Questo il testo dell’emendamento bocciato :

Proposta emendativa pubblicata nel Bollettino delle Giunte e Commissioni del 24/07/2018 

Dopo l’articolo 3, aggiungere il seguente:

Art. 3-bis.
(Proroga delle agevolazioni per le assunzioni a tempo indeterminato nel Mezzogiorno).

1. Le disposizioni di cui dall’articolo 1, commi 893 e 894, della legge 27 dicembre 2017, n. 205 relative alle agevolazioni per le assunzioni a tempo indeterminato nel Mezzogiorno sono ulteriormente prorogate per l’anno 2019.
2. Ai fini di cui al comma 1 i programmi operativi nazionali cofinanziati dal Fondo sociale europeo ed i programmi operativi complementari possono introdurre per l’anno 2019, nell’ambito degli specifici obiettivi previsti dalla relativa programmazione, misure complementari volte all’assunzione di giovani entro i 35 anni di età o con almeno 35 anni, a condizione che non abbiano un impiego regolarmente retribuito da almeno sei mesi, nelle Regioni Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Sicilia, Puglia, Calabria e Sardegna.


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Intervista a Damiano su opzione donna, esodati, Quota 100 e 41

Pensioni 2018, Intervista a Damiano su opzione donna, esodati, Quota 100 e 41

Le ultime novità sulle pensioni al 31 luglio 2018 giungono da un interessante confronto che abbiamo avuto con l’onorevole Cesare Damiano del Pd. Nello specifico ci siamo confrontati sulle questioni previdenziali più spinose cercando di toccare tutte le tematiche che maggiormente stanno a cuore ai cittadini, con l’onorevole abbiamo discusso , infatti dettagliatamente, di esodati, della  proroga dell’opzione donna, della quota 100 e 41.

L’onorevole Damiano, in estrema sintesi,  si è detto pro nona salvaguardia esodati, per la quale si batterà affinché venga sanata tale ingiustizia, favorevole alla quota 41 senza limiti anagrafici, e alla quota 100 ma senza trucchi. Se si partisse dai 64 anni, ci dice, vi sarebbe un restringimento importante di platea, altrettanto contrario al ricalcolo contributivo dal ’96 e al conteggio per il montante di soli 2/3 anni figurativi. Dubbioso, purtroppo, sulla possibilità che vi siano fondi per proseguire nell’opzione donna e dunque favorevole ad eventuali misure alternative  di sgravio per le donne che partano, ad esempio, dal riconoscimento del lavoro di cura. Eccovi le sue parole, nell’intervista esclusiva che ci ha rilasciato. Vi ricordiamo che se volete citare una parte della nostra intervista esclusiva dovete citare la fonte pensionipertutti.it.

Riforma pensioni, Damiano: mi batterò per la 9° salvaguardia
-Vista la drammatica situazione degli ultimi seimila esodati, il PD da lei  rappresentato inserirà una richiesta e/o un emendamento in finanziarla per ottenere  una nona e definitiva salvaguardia?

Per quanto riguarda gli ultimi esodati esclusi dalle otto salvaguardie, il problema si sarebbe già potuto risolvere se l’INPS ci avesse ascoltati, nella scorsa legislatura, quando contestammo il numero di 30.400 lavoratori coinvolti nella ottava salvaguardia. Un numero decisamente gonfiato, come capita sempre, che a  consuntivo si è ridotto a 14mila. Ci sarebbe stato spazio, come si vede, per gli ultimi 6mila esodati. Per quello che mi riguarda mi batterò affinché il Partito Democratico chieda con forza, nella prossima Legge di Bilancio, di inserire la nona e definitiva salvaguardia.

Pensioni donne, lavoro di cura valida strada percorribile
– Sappiamo che i fondi stanziati per OD sono cristallizzati. Il contratto di Governo  ne prevede la proroga con i fondi residui, secondo lei elimineranno la cristallizzazione oppure stanzieranno nuovi fondi? Oppure si cercherà di individuare nuove misure che, riconoscendo un valore ai lavori di cura, possano essere applicabili alla totalità delle lavoratrici?

Anche in questo caso siamo di fronte ad una previsione dell’INPS esagerata che ha preteso, per l’applicazione di una norma voluta nel 2004 da Maroni come sperimentazione che scadeva il 31 dicembre del 2015, ulteriori 2 miliardi e mezzo di euro per ricomprendere nel diritto pensionistico altre 36mila lavoratrici di Opzione Donna. Perché si è arrivati a questa situazione? Perché una circolare dell’INPS, molto probabilmente sollecitata dal Ministero dell’Economia, ha dato un’interpretazione restrittiva della legge, che ha trasformato il diritto ad andare in pensione con i requisiti richiesti (la maturazione di  57 anni di età per le lavoratrici  di pendenti e 58 per le autonome ai quali sommare 35 anni di contributi) in un diritto esigibile al momento dell’assegno. Tutto questo ha comportato l’inclusione delle finestre e della aspettativa di vita richiedendo una nuova copertura finanziaria.

Al momento, non è ancora noto il consuntivo di quella operazione relativamente alle  36mila lavoratrici e alle risorse stanziate. Se ci sono fondi residui cristallizzati, sarebbe bene sbloccarli. Dubito che questo sia possibile. In quel caso occorreva stanziare nuove risorse per continuare la sperimentazione di Opzione Donna oltre il  31 dicembre 2015. Per quanto riguarda, in alternativa, il riconoscimento dei lavori di cura per le donne, è una strada che si può praticare dal momento che la distanza di 5 anni tra uomini e donne per la pensione di vecchiaia (65 e 60 anni) è stata superata dalle nuove normative che hanno totalmente equiparato, sbagliando, l’età pensionabile fra i generi.

Pensioni anticipate 2018, Damiano: ok quota 100 e 41, ma senza trucchi
–Di Maio e Salvini sono passati dalla abrogazione della Fornero al suo superamento. Dai costi indicati da Boeri è evidente che non si potrà ottenere, senza mettere limitazioni, sia quota 41 che quota cento. Vi è altresì il dubbio, data la non smentita, che si possa passare per il calcolo dell’assegno contributivo dal 1996 e che  siano valevoli solo 2/3 anni figurativi nel conteggio del montante contributivo per il raggiungimento della quota. Le proposte del PD, alla luce delle attuali misure ipotizzate di controriforma Fornero, saranno improntate su uno studio di queste quote per definirne i limiti, oppure resteranno nell’ottica di mantenere ape social e quota 41 così com’è ora?

Con la prossima Legge di Bilancio il Governo sarà costretto, dopo la propaganda, a scoprire le sue carte. E’ evidente che le risorse necessarie per realizzare Quota 100 e per il ripristino della pensione di anzianità con 41 anni di contributi dovranno essere ingenti. L’INPS fornisce sempre cifre sovrastimate, ma comunque stiamo parlando di valutazioni oscillanti fra gli 8 e i 20 miliardi all’anno. Anche la stima più bassa è di notevole impatto economico.

Io sono assolutamente favorevole ai 41 anni di contributi, a prescindere dall’età, al mantenimento oltre il 31 dicembre di quest’anno dell’Ape sociale e all’introduzione di Quota 100; ma non ci debbono essere dei trucchi. Mi spiego meglio: se Quota 100 è la somma di 64 anni di età più 36 di contributi, la platea si restringe e siamo ad un anno sopra rispetto a quanto previsto dall’Ape Sociale e volontaria. Per questo bisogna evitare che l’Ape venga soppressa, altrimenti si provocherebbe un danno notevole a chi appartiene alle categorie dei lavori gravosi. Far accedere alla pensione con Quota 100 non può significare il ricalcolo retroattivo dell’assegno, con il sistema contributivo, a partire dal ’96. Sarebbe un taglio importante. E, inoltre, se si dovessero prendere in considerazione soltanto una parte dei contributi figurativi versati, sarebbe un altro fattore di limitazione e di discriminazione.

Le nostre proposte, già nella passata legislatura, si ponevano dei limiti molto precisi: non più del 2% di taglio fino a 4 anni di anticipo dell’età della pensione e, per quanto riguarda l’Ape sociale, la limitazione è relativa alle mansioni classificate come gravose, ma non c’è alcun taglio dell’assegno. In sostanza, non possiamo avere una quota che assomiglia al meccanismo di Opzione Donna: dal ’96 al 2018 ci sono ben 22 anni di contributi versati che, se si dovessero ricalcolare, danneggerebbero in maniera importante
l’assegno pensionistico.

Pensioni 2018, evitare Superbonus del 30%: spreco di risorse
–Cosa ne pensa della proposta del superbonus da associare alla quota 100 per chi  resterà al lavoro nonostante il raggiungimento del montante contributivo richiesto?

Non ne ho mai sentito parlare, ma, trattandosi di risorse da spendere, in questo caso per far rimanere le persone al lavoro, tanto vale concentrare le scarse risorse. Attendendo che il Governo scopra le proprie carte specificando i requisiti necessari e/o eventuali limiti delle misure che costituiranno la controriforma Fornero, ringraziamo l’Onorevole Cesare Damiano per averci chiarito il punto della situazione ad oggi.



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Grazie Di Maio, sarò un disoccupato anche grazie a lei


Grazie Di Maio, sarò un disoccupato anche grazie a lei

E il tweet diventa un caso

Un utente si lamenta del mancato rinnovo del contratto a causa dei paletti del decreto Dignità, generando una eco incredibile sul social network

04 Agosto, 2018
Uno degli 8mila lavoratori che rischiano di restare a spasso per l'irrigidimento delle maglie sui contratti a termine disposto dal decreto Dignità - secondo le discusse stime della stessa Relazione tecnica - emerge su Twitter e diventa subito un caso.

"Buonasera Ministro @luigidimaio, ci tengo a farle sapere che, anche grazie a lei e al suo decreto dignità, oggi mi hanno confermato che da settembre sarò finalmente un disoccupato. Non è che per caso @Tboeri aveva ragione? Ma tanto io aspetto il suo reddito di cittadinanza, no?". Il cinguettio amaro arriva nel tardo pomeriggio di mercoledì da parte dell'utente Tony Nelly (pseudonimo che già indica una scelta di campo), giovane sorridente "procrastinatore seriale" (la sua auto-definizione sul social), sul cui profilo campeggiano i colori dell'arcobaleno e la scritta "PRIDE".

Il vicepremier Luigi Di Maio e il presidente dell'Inps, Tito Boeri, sono gli interlocutori chiamati in causa. Con un chiaro riferimento alla polemica che è stata alimentata dalla relazione tecnica dell'Istituto nella quale si faceva presente che la stretta sui meccanismi di rinnovo dei contratti a termine e l'aumento delle tutele per gli assunti stabili in caso di licenziamento illegittimo avrebbero potuto portare un saldo negativo di assunzioni. Fattore corretto in sede di discussione alla Camera con l'estensione degli sgravi per le assunzioni di under 35. Almeno dal punto di vista della "contabilità" di assunti e licenziati questi incentivi garantiscono - stando alle previsioni - un salto in positivo del saldo, visto che si parla di oltre 60mila assunzioni grazie alla misura.

Scorrendo i tweet più recenti di Tony Nelly, non mancano i commenti critici nei confronti di alcune prese di posizione del governo che lasciano intendere il suo scetticismo verso l'esecutivo gialloverde. Riflessioni alternate alla questione del contratto. "Stasera con questo timorino che fra poco più di un mese potrei rimanere senza lavoro e allora mi mangio una coppa del nonno", il messaggio del 26 luglio. E il 2 agosto arriva l'amara conferma di quel "timorino".


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